Christian Zecca
Attore, Regista e Acting CoachAllenati ad Esserci!
Chi Sono
Come lavoro
Direzione
Si tratta di scegliere un obiettivo. Precisare un’intenzione nello spazio e nel tempo. Una volta chiarito il punto di partenza (dove sono in questo momento) e la destinazione (dove voglio arrivare e in quanto tempo) abbiamo una direzione.
Intensità
Stabilita una direzione occorre percorrere la strada che ci separa dal nostro obiettivo. Per farlo, volontà e determinazione sono condizioni necessarie ma non sufficienti. La volontà svapora se non è illuminata dall’emozione. Per arrivare fino in fondo dobbiamo amare ciò che facciamo, innamorarci del processo prima che del risultato, essere presenti a noi stessi, qui e ora, per davvero.
Contaminazione
Nel percorso incontreremo altre persone, reali (i nostri colleghi, compagni di viaggio, il pubblico, ecc.) e immaginarie (il personaggio che dobbiamo interpretare). Il segreto sarà ascoltarle. Lasciarsi abitare, contaminare appunto. Per farlo, in questa fase del percorso, non dovremo concentrarci su ciò che vogliamo ottenere per noi (obiettivi dell’attore come successo, denaro, ecc.) ma piuttosto su cosa possiamo fare per gli altri (per le persone con le quali mi relaziono, per il mio personaggio). Qui occorre fare lo sforzo di “dimenticarsi di sé”.
Persistenza
A questo punto del lavoro, qualcosa dovrebbe essere accaduto. Diciamo, una trasformazione. Se l’operazione si è svolta correttamente, noi non saremo più gli stessi, e le persone intorno nemmeno. In questo stato, che è stato evocato da ciò che abbiamo definito obiettivo nella prima fase, scopriremo che il nostro punto di arrivo sarà per noi un nuovo punto di partenza ad un livello superiore. Qui occorre occuparci “soltanto” di lasciarne traccia, nel nostro cuore e in quello di chi ha partecipato al nostro lavoro in scena o sul set, a guisa di testimonianza.
Christian Zecca Acting Studio
Il lavoro più difficile ed essenziale consiste sicuramente nell’aderire alle emozioni del personaggio. Se il piano fisico può essere pertinenza anche degli sport e il piano mentale è allenato da visualizzazioni, meditazioni, ecc. la sfera emotiva è sicuramente materia per l’attore. Come meglio di tutti dirà Artaud nel meraviglioso libro “Il Teatro e il suo doppio”, nel paragrafo “Un’atletica affettiva”, l’attore è “un atleta del cuore”.
Secondo Artaud infatti, come un atleta lavora sul suo corpo e si appoggia in precisi punti fisici del suo organismo per correre, saltare, ecc., così l’attore deve appoggiarsi sul corpo per evocare le emozioni. Proprio come fa un atleta. Il suo obiettivo non sarà una performance fisica ma emotiva.
Siccome però ci identifichiamo molto con le nostre emozioni e “studiare” un comportamento emotivo ci potrebbe produrre una sorta di “cortocircuito interiore”, Artaud ci suggerisce di immaginare un “corpo secondo”, perfetto doppio del nostro corpo fisico (oggi lo chiameremmo avatar oppure ologramma) e appoggiarci le nostre emozioni. Certo. Le emozioni cambiano nel tempo di un respiro, non sono lente come una modificazione fisica o mentale. E, certo, le emozioni non tollerano l’imperativo. Io non accetterei come persona il compito “devi amare X, oppure devi odiare Y, trovi irritante Z…” Solo con il geniale diaframma del “doppio”, dell’altro da sé, di un personaggio che pure ha irrimediabilmente le nostre stesse fattezze fisiche, noi possiamo operare realmente sulle nostre emozioni, materiale altrimenti troppo sensibile e sottile per essere manipolato. Occorre dunque “osservarlo da fuori”.
Lungi dall’aver chiarito il concetto di doppio artaudiano o la teoria alla base del se magico di Stanislavskij, spero però di avervi incuriosito e stimolato al lavoro su voi stessi.
Articoli e Pubblicazioni
Articoli
- Presence Energy: the Main Goal of the Actor’s Training. Brazilian Giournal on Presence Studies. Theatre and neuro-science.
Libri
- Il caso Krolevsky e il calcolo dell’inatteso. Di A.Gambaro e C. Zecca. Falsopiano Editore.